Herbert George Wells
Mi sembra di essere più a sinistra di lei, Mr. Stalin: quel socialista atipico di H.G. Wells
H.G. Wells pubblica il suo primo libro, La macchina del tempo, nel 1895, riscuotendo un immediato successo. Seguono altri grandi classici che hanno segnato la storia della fantascienza, come L’isola del dottor Moreau (1896), L’uomo invisibile (1897) e La guerra dei mondi (1898), solo per citarne alcuni.
Wells ama confondere gli stili e diventa, all’occorrenza, più profeta che saggista, e più scienziato che romanziere, mescolando gli elementi per costruire futuri distopici o analisi storiche visionarie.
Virginia Woolf non gli perdonava di usare il romanzo come veicolo delle proprie idee politiche: Wells era ai suoi occhi un materialista troppo interessato a descrivere le situazioni per curarsi di scandagliare anche minimamente l’umanità dei personaggi, o approfondirne l’analisi psicologica:
È un materialista bell’e buono, dal profondo del cuore […] è così preso dalla sovrabbondanza d’idee e fatti da non prendersi neanche il tempo di notare e correggere la grettezza grossolana degli esseri umani che popolano i suoi libri.
Eppure, l’influenza che Wells ha sui contemporanei è enorme: le sue visioni suonano come profezie di una società rinnovata e trovano terreno fertile nel declino dell’Imperialismo vittoriano. Come giustamente sottolinea George Orwell, Wells è l’imprescindibile creatore dell’immaginario novecentesco, pervaso da uno spirito avventuroso che porta a ipotizzare nuovi mondi possibili:
Le menti di tutti noi, e quindi la nostra stessa percezione della realtà, sarebbero completamente diverse se Wells non fosse mai esistito. […] Per un ragazzino del Diciannovesimo secolo era un’esperienza fantastica scoprire H.G. Wells. Eri lì, in un mondo di pedanti, bigotti e golfisti, con il tuo futuro datore di lavoro che ti diceva ‘sei dei nostri o sei fuori’ e i genitori che inibivano sistematicamente la tua vita sessuale, e quegli ottusi degli insegnanti che ridacchiavano sulle loro citazioni latine; ed ecco quest’uomo eccezionale che ti raccontava di creature venute da pianeti lontani e dal fondo degli abissi: lui sapeva che il futuro non sarebbe stato noioso come se lo immaginava la gente rispettabile.
Interessato fin da giovane alla politica, Wells lascia spesso tracimare questa sua passione nelle opere di narrativa, oltre a scriverne in pamphlet, saggi e articoli di giornale. La Fabian Society – con cui lo scrittore entra da subito in aperto contrasto – fa di tutto per attirarlo tra i suoi membri, e ci riesce nel 1903. Tuttavia, dopo soli tre anni, questa parentesi si chiude con uno scritto di Wells in cui si criticano i metodi di Bernard Shaw e compagni, descritti come socialisti borghesi senza alcuna aspirazione al vero cambiamento.
Oltre a una certa naturale irruenza di carattere, che lo portava a rifiutare conventicole, circoli o catalogazioni troppo rigide, Wells era uno strenuo sostenitore dell’uguaglianza sociale e di una libertà pressoché illimitata dell’individuo nelle sue scelte civili; tra le altre cose, credeva nella parità tra i sessi, nel libero amore, nel progresso scientifico e nella pace. Il suo socialismo, almeno inizialmente, è però piuttosto atipico e si traduce nella convinzione che attraverso l’abolizione di ogni barriera di ceto e a parità di condizioni sociali sia possibile ottenere una libera e giusta competizione tra singoli individui. In pratica, Wells crede in una società meritocratica da instaurare non con la rivoluzione, ma attraverso il progresso scientifico e l’educazione dei più svantaggiati.
Anche per questo decide di abbandonare la fantascienza e descrivere nei suoi romanzi “sociali” la realtà della gente comune. Questi romanzi, popolati da impiegati, commessi, insegnanti sottopagati e operai vogliono soprattutto essere una riflessione politica sull’ambiente sociale. La vocazione dell’attivista sembra qui prevalere su quella dello scrittore, tanto che Wells ammette di non aspirare nemmeno più a essere definito un artista, ma di preferire anzi essere considerato un semplice giornalista e caldeggiando una sorta di “socialismo scientifico” che sia in grado di traghettare l’umanità verso il pieno controllo dei mezzi resi disponibili dal progresso.
Nel 1920, quando visita il neonato stato comunista guidato da un partito unico che si dichiara collettivista e internazionalista, Wells è comprensibilmente carico di aspettative. Anche se con le dovute riserve, il suo incontro con Lenin lo riempie di speranze, perché si rende conto che questo marxista al Cremlino ha una visione:
Ho capito, allora, come con lui, dopo tutto, il comunismo potesse, nonostante Marx, essere enormemente creativo. Dopo aver incontrato, tra i comunisti, dei noiosi fanatici della lotta di classe, uomini che si esprimevano con frasi fatte e sterili come pietre, dopo aver ascoltato le tante esperienze enumerate dalla presunzione dello sciocco e devoto marxista comune, questo sorprendente minuscolo uomo era un’ondata di freschezza, con la sua sincera ammissione che la realizzazione del progetto comunista fosse cosa assai complessa, e con quella sua semplice e sincera determinazione nel cercare di portarlo a compimento. Lui, almeno, ha una visione di un mondo che cambia direzione, per il quale esiste un progetto, e che verrà costruito di nuovo.
Tuttavia, malgrado la fascinazione che Wells sente per le politiche visionarie di Lenin e il suo governo dei Soviet, l’elemento di contrasto viene dalla premessa stessa su cui si fonda il marxismo, ovvero una divisione netta e inconciliabile tra capitalisti e proletari.
Per Wells, socialista anglosassone dalle convinzioni moderate, l’ottusità della visione marxista sta nell’escludere l’esistenza di una classe media fatta da insegnanti, commessi, impiegati, che lavorano produttivamente senza essere né poveri né padroni. Questa mancanza di sfumature nell’analisi sociale genera ai suoi occhi l’ancor più grave equivoco di considerare i contadini russi alla stregua del proletariato operaio.
Deluso dall’incapacità d’azione dimostrata dalla Fabian Society prima e dal parlamentarismo britannico poi, anche Wells (come molti altri socialisti inglesi suoi contemporanei) guarderà con un misto di curiosità e speranza ai nuovi movimenti fascisti europei degli anni Venti.
Durante un discorso alla Oxford University, conia addirittura l’espressione “fascismo liberale” per definire i nuovi governi d’azione di stampo fascista: Wells riteneva infatti che uno stato efficiente, rappresentando la più alta espressione di giustizia sociale, potesse perseguire il bene comune anche attraverso misure autoritarie.
All’inizio degli anni Trenta Hitler era ancora considerato relativamente innocuo e per molti socialisti Stalin aveva tutte le potenzialità per diventare il leader del futuro. L’U.R.S.S. sembrava infatti promettere un nuovo tipo di governo collettivista in alternativa all’oligarchia di affaristi che aveva portato l’America alla Grande Depressione. Così, quando nel 1934 Wells torna a Mosca e incontra Stalin per una celebre e criticata intervista, cerca i segni del cambiamento in atto: già li aveva analizzati durante il suo incontro con Roosevelt, e l’intento sarebbe proprio quello d’individuare i punti d’incontro tra il new deal e il piano quinquennale per sottolineare i potenziali di entrambi. Wells pensava infatti che potessero considerarsi simili sotto molti punti di vista e sperava che, nel mezzo, esistesse una via praticabile e alternativa. Si scontrerà con la visione di Stalin, ancora convinto sostenitore di un radicato e inestirpabile “antagonismo tra due mondi”. Questo passaggio dell’intervista rivela ancora una volta tutta la distanza di Wells rispetto a una lettura dogmatica della realtà:
Non condivido questa classificazione semplificata dell’umanità in poveri e ricchi. Naturalmente, esiste una categoria di persone che aspira soltanto al profitto. Ma queste persone non sono criticate in Occidente proprio come lo sono qui? Non ci sono tantissime persone in Occidente per le quali il profitto non è il fine ultimo, che possiedono una certa ricchezza e che vogliono investire e ricavare un reddito da questo investimento, ma che non lo considerano l’obiettivo principale? Considerano l’investimento come una sgradevole necessità. E non esistono moltissimi ingegneri o operatori economici, capaci ed appassionati, la cui attività è stimolata da qualcosa di diverso del profitto?
Wells continua a non accettare la premessa della necessaria lotta di classe, tanto che sembra più vicino al new deal di Roosvelt che alle politiche staliniane, e, con ottimismo progressista, auspica una collaborazione sovranazionale tra “forze costruttive”. Come Keynes, anche Wells crede nella necessità di un intervento statale che rilanci l’economia e insieme ne raddrizzi le manifestazioni più spregiudicate e “antisociali”:
Se cominciamo con il controllo statale delle banche e continuiamo con il controllo dell’industria pesante, dell’industria in generale, del commercio, eccetera, un controllo così generalizzato equivarrà alla proprietà statale di tutti i comparti dell’economia nazionale. Sarà questo il processo di socializzazione, il socialismo e l’individualismo non sono antitetici come il bianco e il nero. Ci sono molti livelli intermedi, c’è l’individualismo che sconfina nel banditismo e ci sono la disciplina e l’organizzazione che sono l’equivalente del socialismo.
A Stalin, come scriverà nella sua autobiografia, manca la prontezza intellettuale di Roosvelt e non può nemmeno contare sull’intelligenza analitica di Lenin:
Non era, il suo, un cervello impulsivo e libero, né un cervello scientificamente organizzato; era un cervello marxista-leninista.
Wells muore ben prima che i crimini di Stalin siano resi noti, ma già la sua distanza dall’approccio autoritario del leader sovietico è quanto mai evidente. Quello di Wells è un socialismo anglosassone di stampo ottocentesco e parte dalla convinzione che, a essere in discussione, sia solo la macchina economica, mai la benzina che l’alimenta:
Mi sembra di essere più a sinistra di lei, Mr. Stalin; sono più convinto di lei che il vecchio sistema sia vicino alla fine.
Wells era troppo democratico per abbracciare fino in fondo lo stalinismo, e, come ben evidenzia George Orwell, anche troppo moderato per credere alla rivoluzione armata:
Wells, come Dickens, appartiene a una classe media lontana dal mondo militare. […] Prova un insopprimibile disprezzo per tutta quella parte della vita che ha a che fare con la lotta, la caccia, il duello…
L’orrore per le armi, e per la violenza, si accompagnano in lui alla cieca fiducia nel metodo scientifico come antidoto contro la superstizione e la brutalità. Eppure, con la Seconda Guerra Mondiale, Wells dovrà suo malgrado ricredersi, vedendo la Germania nazista procedere con metodo scientifico alla conquista e all’oppressione.
La modernità era arrivata, ed era anche peggio dei futuri distopici che aveva immaginato nei suoi libri.
Con la Seconda Guerra Mondiale, Wells perde così ogni speranza in un futuro migliore, ma trova il tempo di abbozzare una carta “dei diritti universali” in una sua lettera al Times abbozza: nel dopoguerra, questo stesso testo sarà preso come punto di partenza per la stesura della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, promossa dalle Nazioni Unite e firmata nel 1948 da tutti gli stati membri.